
Intervista al dottor Ianes, direttore medico di Korian, in occasione dell’inaugurazione del nuovo nucleo Alzheimer della residenza Ippocrate di Milano.
Dottor Ianes, lei ha detto che sconfiggere l’Alzheimer da un punto di vista farmacologico è una chimera. È un’affermazione forte e sconfortante, ma ha accennato anche a una speranza. Che tipo di speranza è?
La ricerca farmacologica, come ho sottolineato, è stata sospesa da grossi colossi farmaceutici perché si ottengono risultati in cavia, ma non sull’essere umano. Ciò ha portato a una decisione che è stata recepita in maniera molto negativa da tutti gli operatori del settore, perché ha tolto la possibilità di credere che in un decennio avremmo potuto individuare una molecola capace di curare la demenza. Ciò non significa che la ricerca sia dappertutto sospesa, ci sono ancora dei test in corso… e in particolare una molecola sta dando dei segnali promettenti, però sono necessarie ulteriori ricerche.
Al momento, quindi qual è la situazione ed esiste un’alternativa?
Ci troviamo sguarniti sotto il profilo terapeutico della patologia, ossia di possibili prevenzioni e regressioni, e abbiamo soltanto farmaci a carattere sintomatico, che sono indicati per la riduzione dei disturbi produttivi come irrequietezza, ansia e aggressività… È qui che trovano impiego fondamentale le terapie non farmacologiche, soprattutto perché sono personalizzate. Infatti per applicarle deve esserci prima una valutazione di tipo neuropsicologico e medica dei pazienti, sulla quale viene poi costruito un progetto assistenziale individuale con tanto di obiettivi da raggiungere e scale per valutarne l’efficacia.
Dottor Ianes, due settimane fa ha inaugurato il nuovo nucleo Alzheimer nella residenza Ippocrate di Milano, dove sono state applicate tutte le misure di un sistema curativo non farmacologico. Com’è strutturato?
Il progetto delle terapie non farmacologiche e la cura dell’ambiente in cui è inserito il paziente devono essere parallele. Dobbiamo costruire un ambiente protesico e protetto, quindi con un azzeramento del concetto della corsia ospedaliera, ma ridisegnandolo come un piccolo quartiere dove la stanza è la casa, l’ambiente di vita del paziente. Così che quando il malato esce dalla stanza non si trova in un nucleo, ma in una via di paese: per questo abbiamo caratterizzato l’ambiente con elementi particolari come la riproduzione di un negozio di frutta e uno di fiori, la fermata dell’autobus… Di fianco all’entrata di ogni stanza abbiamo appeso una memory box, un contenitore trasparente, dove viene inserito un elemento di vita passata del paziente che dorme in quella stanza. Sono piccoli oggetti che aiutano a ricordare frammenti della vita trascorsa e che portano felicità ed empatia con l’ambiente stesso.
Quali sono i benefici di queste soluzioni?
I benefici principali riguardano il controllo dell’insorgenza di disturbi di carattere produttivo, riduzione del wandering e dell’ansia e, quindi, maggiore serenità.
In cosa consiste la personalizzazione di queste terapie?
Viene fatta una valutazione globale del paziente perché i gradi di decadimento cognitivo sono ovviamente diversi e noi dobbiamo lavorare in funzione dell’entità del decadimento e delle abilità residue. Le abilità perse, come la memoria, non sono recuperabili. Però è recuperabile un’alterazione del linguaggio, che può addirittura essere migliorabile. Il fine di tutto ciò è dare maggiore autonomia al paziente stesso.
A Brescia ha da poco riaperto Alzheimer in Lab, una rappresentazione visiva ed esperienziale della malattia. Qual è il ruolo sociale di un progetto simile?
Alzheimer in Lab mostra le diverse fasi della malattia e come affrontarle preparando l’ambiente, anche quello casalingo. Vuole essere un’esperienza di comunicazione proprio per sconfiggere l’indifferenza di chi non conosce questa patologia in continua crescita. Insegna come fare, a tutti: è aperto alle scuole, ai familiari di pazienti, agli operatori… Leggendo i giornali vedrà che non mancano notizie riguardanti l’Alzheimer, ma si tratta di informazioni frammentate che possono addirittura disorientare i caregiver. L’alzheimer è una patologia molto sfaccettata, non servono tanti concetti, l’educazione giusta è quella che insegna cosa bisogna fare e come bisogna comportarsi… deve essere pragmatica. Per questo Alzheimer in Lab sarà itinerante.
Perché, nonostante l’incidenza alta di questa malattia, c’è ancora così tanta indifferenza intorno a essa?
I dati attendevano per il 2010 36 milioni di persone malate di Alzheimer a livello mondiale, nel 2013 44 milioni, nel 2030 70 milioni e nel 2050 135 milioni. I dati aggiornati evidenziano un panorama peggiore, già nel 2018 sono 50 milioni, nel 2030 se ne prevedono 82, nel 2050 152. È ovvio che questa patologia è un’epidemia, ma è un’epidemia silente perché purtroppo la diagnosi viene fatta in ritardo. Invece bisognerebbe fare una diagnosi precoce e iniziare con trattamenti che possono riguardare la modifica dello stile di vita o la rimozione di neuro minacce cerebrali in anticipo.