
Comunicare con un malato di Alzheimer può essere l’azione più difficile e dolorosa per un caregiver. Molte volte davanti a un marito o a una moglie, a un padre o a una madre che perdono il filo del discorso, che non sanno come rispondere a una semplice domanda le persone crollano. La Tecnica Conversazionale insegnata nei gruppi ABC può essere di sostegno. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Scotti della RSA Santa Marta di Milano.
Si chiama infelicità conversazionale e indica la complessità e talvolta impossibilità – almeno apparente – a comunicare con un malato di Alzheimer e le ripercussioni che ciò può avere sui parenti e su chi se ne prende cura. “Al decadimento cognitivo del malato corrisponde spesso quello emotivo del parente” spiega la dottoressa Scotti.
Con l’obiettivo di aiutare i caregiver ad affrontare questo momento complesso, a ridurre lo stress da entrambe le parti, la psicologa ha dato vita, già nel 2012, a un gruppo ABC nella struttura milanese Santa Marta. Cos’è un gruppo ABC? “È uno strumento a supporto dei parenti – spiega Scotti – In 6 incontri a cadenza bisettimanale o mensile viene insegnato il metodo ideato da Giampaolo Lai, e ora portato avanti dal professor Vigorelli, chiamato Tecnica Conversazionale che consiste in 12 regole, chiare ma anche flessibili, che si devono usare quando la comunicazione con il malato diventa difficile”. Per evitare che la relazione si incrini e che scaturiscano litigi e infelicità.
La dottoressa Scotti, dopo aver partecipato al corso di Vigorelli ha però deciso di istituire un gruppo ABC permanente e aperto nella RSA Santa Marta: “Con i familiari dei pazienti ci troviamo ogni due mesi, ma il gruppo ABC non si conclude dopo 6 incontri, è continuo… Semplicemente si va avanti. Quindi ci sono familiari storici che partecipano agli incontri da 3 o 4 anni e altri nuovi. Questo fa sì che si crei una catena affettiva che prosegue anche al di fuori del gruppo e della struttura”.
E proprio il 12° passo previsto dalla Tecnica Conversazionale prevede questo: “occuparsi del proprio benessere” ritrovando se stessi e il proprio ruolo. “Nel gruppo – prosegue la dottoressa – non solo si insegna a comunicare con il proprio malato, ma si trovano soluzioni, si condivide e si impara… C’è così tanta confusione sull’evoluzione degenerativa della malattia: il gruppo serve anche a questo, a fare chiarezza”.
Ecco i 12 passi previsti dal metodo insegnati dalla professoressa Scotti che ricorda “non sono da usare sempre, ma nei momenti di infelicità conversazionale”.
- Non fare domande
- Non correggere
- Non interrompere
- Ascoltare
- Accompagnare con le parole
- Rispondere alle domande
- Comunicare anche con i gesti
- Riconoscere le emozioni
- Rispondere alle richieste
- Accettare che il nostro caro fa quello che fa e dice quello che dice
- Accettare la malattia e la sua evoluzione
- Occuparsi del proprio benessere
I benefici non arrivano per tutti allo stesso momento: “ognuno ha i suoi tempi, c’è chi accoglie le regole immediatamente e chi ha bisogno di più tempo. Ma i risultati arrivano: i parenti che seguono gli incontri del gruppo sono più sereni e rilassati e sono capaci di riprendersi il proprio ruolo”. Perché, come spiega bene la dottoressa, il caregiver che vuole aiutare e che vuole essere vicino efficacemente ai suoi malati, ha bisogno anche di aree di ricarica personale.