
Le condizioni di fragilità e di grave debolezza che caratterizzano le persone affette da demenza non concedono tregua a quanti ne sono colpiti ma anche a chi se ne prende cura. Il ruolo del caregiver è particolarmente difficile e stressante, ma può trovare sollievo, quando si può contare su un aiuto e un supporto.
In Italia le diverse forme di demenza colpiscono 1,4 milioni di malati, oltre 600.000 dei quali sono affetti da Alzheimer. La crescita – in tutto il mondo – negli ultimi anni è vertiginosa e si stima che a causa dell’invecchiamento della popolazione nel corso dei prossimi 30 anni i casi triplicheranno ed entro il 2050 ne sarà affetta 1 persona su 85 a livello mondiale coinvolgendo 130 milioni di individui. Ma le persone coinvolte, in totale, sono ancora di più: perché i malati di Alzheimer richiedono cure e assistenza continua, almeno dalla fase intermedia in avanti, condizionando la vita dei caregiver, ossia di chi se ne prende cura, familiari o professionisti. E anche qui si parla di numeri importanti: sono 3 milioni le persone in Italia coinvolte nell’assistenza dei loro cari, di cui oltre il 70% sono donne.
È importante riconoscere che anche i caregiver hanno bisogno di cure. Chi si prende cura di persone affette da demenza può manifestare irritabilità, sensazione di perdita di speranza, sentimenti di abbandono e di impossibilità di essere aiutati, con la contemporanea comparsa di ansia, insonnia fino anche alla depressione. Oltre alla sfera psichica, possono insorgere anche malattie somatiche (cardiopatie, malattie respiratorie, malattie delle ossa e dei muscoli, ecc.), la cui causa è la trascuratezza verso la propria salute, la difficoltà di condurre una vita normale e la fatica fisica causata dai ritmi continui del caregiving. Le persone affette da Alzheimer, specialmente nelle fasi avanzate della malattia richiedono assistenza continua, perdendo completamente la loro autonomia e non riuscendo più a svolgere da soli nemmeno le azioni più elementari, con il risultato che si crea un’atmosfera particolarmente stressante.
Spesso, poi, i caregiver sono persone anziane o molto anziane, della stessa età di coloro che assistono; in questi casi le difficoltà fisiche e lo stress psicologico sono ancora più pesanti.
Troppo spesso la condizione di persone bisognose di attenzione, di affetto, di supporto pratico, non è compresa dal resto della famiglia e la solitudine accompagna le giornate: l’impossibilità di dialogo, di richiedere consigli, di ricevere dall’esterno il compenso psicologico che talvolta il malato non è più in grado di offrire rende la vita del caregiver davvero difficile.
Ecco perché, i professori Angelo Bianchetti e Marco Trabucchi del Gruppo di Ricerca Geriatrica, nella loro guida al caregiving hanno dedicato un capitolo a questo aspetto, ossia al prendersi cura di chi cura. Purtroppo accade troppo raramente che i caregiver trovino supporto e aiuti nei servizi e anche tra il proprio network di conoscenze (amici e familiari), dal momento che l’assistenza verso il malato “impedisce” – o rende molto complesso – il mantenimento delle altre relazioni.
Ma prendersi cura di una persona affetta da Alzheimer è un impegno complesso che richiede competenze tecniche (cure che vanno da quelle farmacologiche all’alimentazione corretta, alla prevenzione e terapia delle più comuni malattie, ecc.), ma anche di una visione globale, caratterizzata dalla capacità di accompagnare, tollerare, consigliare, rasserenare e amare. Le due modalità di assistenza, per funzionare, devono coesistere. Ma proprio per il grande impegno richiesto è importante anche avere un aiuto o un supporto esterno. Chi assiste deve imparare a capire quando è il momento di chiedere aiuto, sapendo a chi rivolgersi.