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Alzheimer e città, come spezzare l’indifferenza

By Novembre 20, 2018Alzheimer
Alzheimer e città

Alzheimer e città, il luogo della vita in comune, dell’incontro e dell’accompagnamento. Ma la città è anche il luogo dove si concentrano le solitudini, le povertà, le incomprensioni, la violenza. Quindi l’impegno per “spezzare l’indifferenza” verso le demenze è un’impresa complessa, che richiede idee chiare e forte determinazione. Ma chi ne deve essere l’attore primario?

di Marco Trabucchi
Gruppo di Ricerca Geriatrica

Per comprendere come muoversi al fine di sconfiggere l’indifferenza è bene iniziare da una lettura dello scenario che caratterizza oggi la vita nella città; gli interventi non possono essere condotti alla cieca, ma avendo chiari i punti di appoggio e di debolezza per un’impresa non facile, che mai era stata affrontata nel passato.

Ricostruzione culturale in città

Nonostante l’impegno di molti non si può ipotizzare un cambiamento nell’ambito della cultura attualmente dominante, che colloca ogni uomo e donna nella sua nicchia, priva di relazioni con le altre, contro la quale sembra inutile ogni richiesta di cambiamento. Su quali basi si può fondare una ricostruzione culturale adeguata? È una domanda grave, che rischia di essere accusata di rappresentare una visione retrograda della società, perché non riconosce il diritto di fare sempre e in ogni modo quello che si ritiene più conveniente per un guadagno immediato. Ma come potrà rappresentare un domani sicuro e sereno una collettività dominata dal narcisismo, dall’irresponsabilità sociale, dal desiderio di accomunare vantaggi e di rifiutare responsabilità? Come sarà possibile sconfiggere l’indifferenza verso una grave condizione di debolezza, quando la vita individuale e collettiva sono dominate dall’interesse ristretto alle proprie vicende?

Un secondo aspetto delicato dello scenario è rappresentato dalla mancanza di una cultura diffusa che interpreti le demenze come una sindrome, con proprie specificità e non come una manifestazione generica di invecchiamento. In questi casi la diagnosi assume una particolare importanza, perché dà dignità ai sintomi e li colloca in una logica di possibili trattamenti. Che fare quindi concretamente per rompere l’indifferenza nella città?

Alzheimer e città: l’importanza della formazione…

Un primo punto riguarda la formazione a tutti i livelli sulla malattia demenza, sulla sua storia, sui sintomi, le possibilità di cura, i doveri di presa in carico, ecc. È necessario partire dalle scuole: alle elementari si deve spiegare che il nonno o il bisnonno non è matto, ma è una persona che ha bisogno di tanto affetto da parte dei nipoti; al liceo è invece necessario spiegare l’origine dei sintomi, chiarendo allo stesso tempo che non si tratta di una malattia ereditaria e che il contatto ravvicinato con chi ha problemi cognitivi rappresenta per il malato una cura utilissima. La formazione deve continuare anche all’università; ci si deve rivolgere agli studenti delle facoltà scientifiche e a indirizzo clinico-assistenziale per spiegare l’evoluzione dei sintomi e il modo per impostare la presa in carico dei malati. Ma anche gli studenti di altre facoltà devono essere interessati; ad esempio quelli di legge per stressare i diritti degli ammalati e per valorizzare i loro spazi di libertà. Oppure quelli delle facoltà a indirizzo filosofico, per affrontare il problema della memoria come aspetto fondamentale della vita, anche se non è l’unica caratteristica dell’essere persona.

… e quella dell’informazione

Un secondo punto riguarda la necessità di informare tutti coloro che vivono e lavorano nelle città, per spiegare che gli ammalati non sono poveri, strani individui che vanno contenuti per evitare che assumano atteggiamenti inappropriati. I cittadini devono sapere che la persona che ha perso la memoria conserva la capacità di cogliere le atmosfere, di capire se viene trattato con comprensione e affetto o con aggressività. Così chi si muove per le strade della città sarà accolto con pazienza se fa richieste bizzarre, aiutato a portare a termine i piccoli compiti che si è prefisso, accompagnato se si perde. E poi se entra in un bar viene accolto senza problemi, se entra in banca per compiere operazioni non appropriate non verrà rifiutato, ma convinto che una certa operazione è impossibile, se entra in una chiesa accolto serenamente come componente del popolo di Dio.

E poi se ha bisogno di interventi sanitari, l’approccio deve essere dolce, di accompagnamento; noi “normali” nulla sappiamo della sofferenza e talvolta del “terrore” che accompagna la persona non in grado di capire dove si trova, sommerso da stimoli che non sa interpretare, impaurito da contatti che seppure non violenti, sono sempre incompresi e fonte di ansia. Si pensi, ad esempio al pronto soccorso degli ospedali, che per i malati di demenza sono non luoghi di vita, ma solo di sofferenza. Gli atteggiamenti positivi sopra delineati devono essere accompagnati da una forte attenzione dei media, sia quelli storici sia quelli del mondo dei social, in modo da intercettare le diverse età, culture, condizioni psicosociali che possono contribuire a spezzare l’indifferenza.

Così, con un lavoro continuo e di lunga durata si può sperare di rompere l’atteggiamento di rifiuto e di indifferenza della città verso chi presenta problematiche sul piano cognitivo.

All’inizio dell’articolo si è accennato all’attore primario del cambiamento di atteggiamento verso chi soffre di demenza. Parlando di Alzheimer e città tutti i cittadini devono essere attori primari, ma in particolare quelli più preparati, come gli operatori del sanitario e del sociale, in grado di convincere la comunità nelle sue varie espressioni che “la demenza non cancella la vita”.

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