
Sentiamo spesso parlare di terapie non farmacologiche in associazione alla malattia di Alzheimer. E tante volte abbiamo affrontato l’argomento anche qui. Cosa distingue queste da quelle farmacologiche e quali sono i benefici dell’una e dell’altra?
Spesso si leggono notizie scoraggianti riguardo la ricerca sull’Alzheimer. Sembra così difficile trovare una cura, che più case farmaceutiche hanno abbandonato o sospeso gli studi. E in effetti, a tutt’oggi, non esiste ancora una medicina in grado di fermare l’avanzare della malattia o di guarire chi ne è affetto. Sarebbe però sbagliato dire che l’Alzheimer non si può curare o meglio, più correttamente, possiamo dire che si possono curare i nostri cari malati, possiamo prendercene cura. L’obiettivo, se non è possibile guarirlo, è rendergli la vita migliore e rallentare l’avanzamento della demenza.
Alzheimer e terapie farmacologiche
Nonostante, si diceva, siano lenti i progressi in campo farmacologico, la scienza sta continuando a fare ricerca, concentrando sui marker biologici. Purtroppo però al momento non esistono farmaci in grado di bloccare il progredire dell’Alzheimer, attualmente gli unici disponibili sono i cosiddetti farmaci “sintomatici”, cioè quelli che hanno benefici sui sintomi della malattia. Possono alleviarne alcuni e ritardarne altri, migliorando – almeno di un po’ – la qualità della vita dei nostri malati.
Alzheimer e terapie non farmacologiche
Parallelamente alle terapie farmacologiche, ci sono invece quelle cosiddette non farmacologiche che, utilizzando alcune tecniche o facendo svolgere delle attività o anche semplicemente cambiando l’atteggiamento con cui ci poniamo nei confronti dei nostri malati, migliorano la nostra relazione con loro. Ma non solo, possono essere di sollievo e, cosa più importante, mantengono attive le persone, rallentando l’avanzare della malattia.
Le terapie non farmacologiche servono soprattutto a facilitare la gestione dei disturbi comportamentali che provoca l’Alzheimer, come l’agitazione, l’ansia, la rabbia, i cambiamenti d’umore improvvisi e le conseguenze del sundowning. Si chiamano così perché si tratta di tutte quelle terapie che attraverso gesti, comportamenti, ambiente, comunicazione e altro, riescono a migliorare la qualità della vita del malato – e di conseguenza anche di chi se ne prende cura, familiari, caregiver e personale delle strutture. Queste terapie hanno l’obiettivo principale di alleviare i sintomi e mantenere al più lungo possibile le capacità residue, cognitive e funzionali, del malato di Alzheimer e possono essere adottate anche in ambito familiare, da chi vive con una persona affetta di questa forma di demenza.
Dal momento che ogni caso di Alzheimer è diverso dagli altri, perché sulla malattia incidono il carattere della persona e il declino non è uguale per tutti, anche le terapie non farmacologiche possono dare risultati diversi a seconda della persona. Con il tempo si impara ad adattarle al proprio familiare o caro, ma sempre è importante ricordare di consultarsi con un medico anche per decidere insieme quale sia la migliore da utilizzare e farci spiegare come.
Infine va ricordato che nella relazione con una persona malata di Alzheimer dobbiamo sempre tenere a mente la persona, il suo carattere e la sua storia: nonostante il declino, ogni persona malata mantiene la sua identità e la sua storia. Per questo è sempre importante saper distinguere tra l’io sano e l’io malato dei nostri cari, cercando di rapportarci a loro e comunicare nella giusta maniera, cercando di creare sempre un ambiente sicuro e che metta a proprio agio le persone.
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