
A oggi non esiste una diagnosi certa della malattia di Alzheimer, tuttavia ci sono molti esami a cui ci si può sottoporre che possono individuare i sintomi tipici della malattia.
L’Alzheimer è una malattia complessa e difficile: non esistono cure in grado di interrompere il suo avanzamento, né medicinali che riescano a guarire chi ne è affetto. Non solo, ad aggiungere complicazioni è anche la diagnosi: a differenza di altre patologie non esiste attualmente un esame specifico per diagnosticare la malattia di Alzheimer. Spesso è un percorso che richiede molto tempo, diverse visite di valutazione del malato e l’esecuzione di numerosi esami clinici e strumentali.
cui i ricercatori si stanno concentrando da tempo per riuscire a diagnosticare precocemente l’Alzheimer è attraverso l’individuazione di biomarcatori. Ma la ricerca è allo stallo, seppure siano un milione le persone italiane affette da forme di demenza e 600 mila quelle malate di Alzheimer, da 15 anni non ci sono progressi nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci, anzi in 10 anni – il 99,6% delle sperimentazioni sono fallite. Le terapie disponibili oggi si limitano a cercare di ridurre i sintomi.
È per questo che ancora troppo spesso la malattia viene individuata molto tardi, quando il cervello è già molto compromesso.
Alzheimer: i test per diagnosticarlo
Come si diceva, non esiste un vero esame in grado di diagnosticare con certezza questa forma di demenza. L’iter diagnostico attualmente in uso prevede la raccolta della storia clinica personale e familiare, la valutazione dello stato mentale, un esame generale e neurologico, l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio ed esami strumentali, come per esempio tac e risonanze magnetiche, oltre alla valutazione neuropsicologica e psichiatrica.
Dopo queste attente analisi, un medico può stabilire con un elevato grado di certezza se una persona soffre di Alzheimer.
Test Alzheimer: come funziona la diagnosi
Oggi esiste un iter stabilito a livello internazionale per valutare se una persona è affetta da qualche forma di demenza. Il paziente viene sottoposto a test neuropsicologici, utili per capire la gravità della malattia e l’impatto sulle attività della vita quotidiana. La seduta dura circa un’ora e mezza e i test vengono eseguiti da un neuropsicologo.
In seguito viene effettuata una risonanza magnetica che serve a valutare la localizzazione e l’entità del danno cerebrale. Questo è possibile perché le zone già colpite dalla malattia sono atrofiche. In contemporanea può essere svolto anche l’esame per valutare il liquor spinale dal quale permette di conoscere le quantità di proteina tau e di beta-amiloidi. In caso di malattia, la prima risulta aumentata, in particolare nella sua forma fosforilata, la seconda è ridotta.
Infine, se ritenuto necessario dal medico, il paziente viene infine sottoposto alla PET che consente di osservare il metabolismo cerebrale e/o la deposizione di amiloide nei tessuti.
Test Alzheimer: quali non fare
Online si trovano molti test per auto diagnosticare la possibile insorgenza di Alzheimer. Seppure alcuni siano stati formulati da ricercatori, è sconsigliabile utilizzarli, rivolgendosi invece subito al proprio medico o a uno specialista. Infine occorre fare una precisazione anche riguardo i test genetici. Essi sono infatti utili solo in casi limitati: le forme genetiche di Alzheimer sono rare e riguardano circa solo l’1% di tutti i casi e in genere colpiscono i soggetti giovani.
Il futuro della ricerca sui test Alzheimer
In futuro la diagnosi dell’Alzheimer potrebbe essere più semplice. Le ultimissime ricerche si stanno concentrando su un prelievo del sangue che valuti i livelli plasmatici della proteina p-tau217. Le persone con Alzheimer avrebbero livelli di p-tau217 nel sangue superiori rispetto alle persone non affette – valori che possono essere riscontrati già molti anni prima che i sintomi della malattia si manifestino.
Due studi, uno svolto in Svezia e uno negli Stati Uniti, parlano di test accurati al 96% che potrebbero essere utilizzati per individuare precocemente la malattia così da poter intervenire prima che il cervello venga compromesso in maniera irrimediabile. Per ora però si è ancora al livello di ricerca sperimentale.