Al debutto di Alzheimer Lab, il primo laboratorio di sensibilizzazione alle malattie degenerative aperto a Brescia, abbiamo parlato con l’ideatore del progetto. Ivo Cilesi, consulente terapie non farmacologiche di Korian Italia, ci ha spiegato l’importanza di “spezzare l’indifferenza” nei confronti delle malattie degenerative.
Professor Cilesi, oggi finalmente apre le porte Alzheimer Lab, il primo percorso multisensoriale dedicato alla malattia degenerativa. Quando e perché ha sentito l’esigenza di creare questo spazio?
La mia riflessione è partita dalla comunicazione che viene fatta, che facciamo, in genere sulla malattia: parliamo di farmaci e di terapie, ma non parliamo mai delle situazioni negative che vive chi è affetto da demenza. Alzheimer Lab è un percorso sensoriale di conoscenza pensato in primo luogo per le famiglie e gli operatori che convivono con i malati e che vogliono capire il tipo di sensazioni e difficoltà che i loro cari provano.
Come è strutturato il centro?
Ci sono delle stanze emozionali dove si possono sperimentare le sensazioni che i disturbi del comportamento provocano; c’è una mostra fotografica che racconta il rapporto tra malato e caregiver; e infine nella parte chiamata La casa che cura i visitatori fanno un viaggio attraverso una finta casa, mettendo a confronto le “normali” stanze in cui abitiamo e quelle che dovremmo creare se vivessimo con persone affette da demenza.
Per chi è pensato il laboratorio?
È pensato innanzitutto per i familiari e gli operatori che lavorano nelle strutture sanitarie. Per questi ultimi in particolare è un luogo di formazione sul campo dove venire ad approfondire le proprie conoscenze professionali. Ma Alzheimer Lab è anche un percorso didattico a disposizione delle scuole e di tutto il territorio. Rappresenta un nuovo modo di comunicare la malattia, pratico e quindi immediato.
Alzheimer Lab è il primo laboratorio di questo genere in Italia e si inserisce nel progetto di sensibilizzazione Spezzalindifferenza di Korian. Qual è l’incidenza di questa malattia a livello sociale?
Purtroppo i dati non sono incoraggianti. Gli ultimi disponibili, relativi al 2016-2017, parlavano di 47 milioni di persone al mondo affette da forme di demenza, di cui 1 milione in Italia. Sono numeri in crescita e bisogna prepararsi. Spezzalindifferenza nasce con questo intento. Purtroppo le malattie degenerative sono ancora uno stigma, le persone non vogliono sapere, Korian invece vuole spezzare l’indifferenza e vuole aprire le porte delle sue strutture al territorio, a tutte le persone, per portarle a conoscenza di queste malattie. Non sono servizi risolutivi per la malattia, ma possono essere di grande aiuto per chi deve o dovrà convivere con questa malattia.
A proposito di malattia, conoscerla è il primo modo per trovare nuove soluzioni. A che punto è la ricerca? Sono in vista nuove possibili terapie?
Purtroppo non esistono, nemmeno all’orizzonte, farmaci in grado di fermare la malattia a livello degenerativo. Bisogna lavorare con le strategie esistenti, ma soprattutto è importante la diagnosi precoce: se la malattia viene diagnosticata per tempo il carico farmacologico può diminuire, mantenendo più attive e stimolate le funzioni cognitive.
La tecnologia e la ricerca molecolare avanzano e sembrano volerci rendere immortali, di contro le case farmaceutiche interrompono la ricerca sulle malattie degenerative del cervello. Non è un controsenso?
Assolutamente: tecnologia e ricerca viaggiano a velocità completamente diverse. Purtroppo i costi della ricerca sono elevati e sembra che non valga la pena investire così tanti soldi per le persone anziane. Questo secondo me è un ragionamento molto sbagliato in primo luogo perché purtroppo ci sono persone affette da forme di demenza che non sono anziane, ma che hanno 60-65 anni, e in secondo luogo è, come si diceva, un controsenso rispetto alla voglia di farci vivere sempre più a lungo. Bisogna trovare un equilibrio.
Oltre alle medicine e alle terapie non farmacologiche, qual è il ruolo dei caregiver nella cura dell’Alzheimer?
Il familiare è la persona più importante nella cura di una persona con demenza. Mi piace dire che siamo noi la prima terapia non farmacologica. Purtroppo siamo anche la parte più fragile perché se il malato, man mano che la malattia avanza, perde sempre di più il contatto con la realtà, per il familiare la situazione continua invece a peggiorare. Il laboratorio è soprattutto per le famiglie, per insegnare a convivere con i malati. Finché è possibile bisognerebbe tenere le persone affette da demenza in casa: l’ambiente domestico non rallenta la malattia, ma aiuta a livello psicologico. Le famiglie però vanno aiutate a loro volta perché devono imparare a gestire il malato e i suoi comportamenti.