
Sembrerebbe un ossimoro coniugare l’assistenza con l’indifferenza. Per questo è necessario chiarire che i due termini sono alternativi, “nemici”. Il professor Trabucchi declina alcune situazioni che caratterizzano questa inimicizia, in particolare negli ambiti di cura della persona anziana.
di Marco Trabucchi
Gruppo di Ricerca Geriatrica
L’assistenza non è un atto neutrale; l’avvicinare chi ha bisogno richiede sempre competenza, attenzione, sensibilità. Infatti chi è competente non sarà mai indifferente, perché conosce le strade per fornire un’assistenza adeguata, che non è solo tecnica, ma anche carica di impegno all’accompagnamento, di partecipazione, di attenzione al bisogno e alla sua evoluzione.
Se l’operatore è formato in maniera adeguata, apprende che l’atto clinico, sempre indispensabile, non deve essere fornito in un mondo astratto, lontano dai mille legami che caratterizzano una vita umana, al suo passato e al suo presente popolato di donne e uomini, di ambienti, di atmosfere. Purtroppo talvolta nel corso di una lunga esperienza di assistenza ci si può più o meno gravemente dimenticare di una scelta impegnativa verso chi sta male.
Assistenza, il pericolo della ripetitività
Lo stress indotto dalla fatica di un lavoro complesso, e senza soste, la possibile mancanza di obiettivi chiari del proprio impegno, l’impossibilità di organizzare un’equipe, sono fattori che inducono ad assumere atteggiamenti meccanici, a svolgere compiti tecnici senza partecipazione. In questi casi l’indifferenza verso il bisogno di chi deve essere assistito prevale e l’atto di cura diviene un susseguirsi quasi automatico di operazioni, ineccepibili sul piano tecnico, ma prive di anima.
Quindi è di primaria importanza che in tutti i luoghi di lavoro con le persone fragili sia dominante un’atmosfera che mette al primo posto il coinvolgimento, la partecipazione, la curiosità verso il bisogno, il desiderio di rispondervi con alacrità e intelligenza; spetta a chi ha la responsabilità complessiva garantire questo atteggiamento, evitando che prevalga l’indifferenza e la ripetizione automatica di atti senza cuore.
Assistenza, di chi è la responsabilità?
A questo proposito si aprirebbe una considerazione delicata rispetto al ruolo di chi deve garantire nei luoghi di lavoro con le persone deboli un’atmosfera nemica dell’indifferenza. Chi ha questa responsabilità? Il direttore di un certo servizio, il responsabile del personale, il medico che coordina l’equipe? Ogni luogo può presentare soluzioni diverse, però è sempre necessario porsi il problema; invece in molti servizi manca anche un minimo impegno in questa direzione e ciò purtroppo avviene sia nel pubblico che nel privato.
In questa prospettiva di incertezza verso il futuro sono da considerare alcune condizioni generali per costruire attorno al singolo servizio un’atmosfera di attenzione, di indicazione e quindi di controllo sulle modalità di lavoro e sui risultati raggiunti.
L’assistenza si svolge nell’ambito di specifici servizi (a casa, nei centri diurni, nelle residenze di vario tipo, nelle riabilitazioni, negli ospedali, nei reparti di post acuzie, negli hospice); in ognuno di questi la prestazione assistenziale assume diverse configurazioni e così anche diversi sono gli atteggiamenti degli operatori.
Italia, un bell’esempio di partecipazione
In alcuni è più facile che l’indifferenza prenda il sopravvento, talvolta indotta da meccanismi di difesa (si pensi alle cure palliative da prestare alle persone nella fase finale della loro vita); in altri invece, come nelle residenze per anziani, è più facile che si instaurino rapporti di vicinanza, indotti anche dalla lunga durata del rapporto stesso (sarebbe un inferno per l’ospite e l’operatore se i tre anni di permanenza fosso caratterizzati da indifferenza, silenzi, una reciproca pervasiva solitudine, che rischia di confinare con l’aggressività).
Fortunatamente nel nostro paese, esclusi alcuni avvenimenti patologici fortunatamente rari, la qualità dell’assistenza è caratterizzata da una forte partecipazione da parte delle comunità e da una presenza generosa e attenta degli operatori. Questo atteggiamento positivo va però difeso, senza pensare che vi possano essere continui aggiustamenti automatici di queste atmosfere e comportamenti positivi. In particolare chi ha responsabilità politiche deve comprendere che l’indifferenza all’interno dei servizi è meglio combattuta se a livello di un territorio (una Regione) si comprende che la comunità non è indifferente alle difficoltà di chi è fragile ed è disponibile a impegnarsi concretamente sul piano organizzativo ed economico.
Viviamo in un mondo fortemente interconnesso e gli esempi positivi (ma anche, purtroppo, quelli negativi) si diffondono con grande velocità, creando un’atmosfera che incide profondamente nel sentire diffuso e quindi anche nel creare atmosfere che facilitano il coinvolgimento diffuso sul piano pratico e psicologico a favore di chi ha bisogno di essere assistito.