
In presenza di sintomi di ridotte facoltà cerebrali, è consigliabile un accertamento dal medico di famiglia. Ma non solo, anche l’ipoacusia è un sintomo da tenere monitorato e che deve convincerci a fare un accertamento tempestivo.
Abbiamo parlato tante volte dell’importanza di una diagnosi precoce dell’Alzheimer, questo è tanto più vero se pensiamo che ancora non esiste cura per fermare il decorso della malattia. Prima la si individua e meglio la si potrà gestire. Oltre ai sintomi tipici che sappiamo ricondurre alla demenza, un campanello d’allarme che dovrebbe metterci in guardia è l’ipoacusia, che può accelerare il declino cognitivo delle persone.
La perdita di udito e l’Alzheimer sarebbero molto più connessi di quanto pensiamo. Alcuni anni fa una ricerca della Johns Hopkins University di Baltimora aveva rivelato che il declino cognitivo in un caso su tre è legato alla perdita dell’udito. Dover sforzarsi per capire suoni e voci infatti genera un forte stress nel cervello e impoverisce le aree che sono legate al linguaggio e alla memoria, le stesse coinvolte nell’insorgenza dell’Alzheimer. Secondo quanto rilevato da alcuni studi il rischio di demenza aumenta per chi soffre di ipoacusia superiore a 25 dB. Le persone con ipoacusia da moderata a grave hanno una probabilità fino a 5 volte maggiore di sviluppare demenza.
Secondo numerosi e importanti studi, gli anziani, soprattutto uomini ( il 69%), con ipoacusia hanno maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer e la demenza, rispetto a quelli con udito normale e ovviamente il rischio aumenta con il peggioramento dell’ipoacusia.
Alzheimer e udito: un test per valutare i rischi
Per questo è importante non solo diagnosticare tempestivamente la perdita di udito, ma soprattutto intervenire per correggerla. Grazie al lavoro di alcuni ricercatori in futuro sarà probabilmente possibile diagnosticare l’Alzheimer attraverso un test uditivo. Il test potrebbe consistere nella registrazione della onde cerebrali di una persona in risposta all’ascolto di alcuni suoni attraverso un elettroencefalogramma. La ricerca, risalente al 2016, è stata condotta da un team spagnolo e italiano (tra Brescia, Barcellona e Trento) e diretto da Manuela Ruzzoli presso l’Università Pompeu Fabra a Barcellona.
Il test potrebbe funzionare perché lo studio ha mostrato come le risposte dei pazienti con Alzheimer sono marcatamente diverse e riconoscibili rispetto alle reazioni neurali di un soggetto sano e di uno con lievi deficit cognitivi. Poiché questo test uditivo è passivo e semplice da svolgere, se questi risultati saranno riprodotti su un campione maggiore di individui si potrebbe davvero giungere allo sviluppo di un pratico e non invasivo test diagnostico riuscirà a individuare la malattia al suo insorgere.