
Sindrome di Burden e Alzheimer: perché colpisce i caregiver? Quali sono i sintomi e come si può combattere?
Nel nostro precedente articolo abbiamo parlato del percorso psicologico che un caregiver deve affrontare prendendosi cura del proprio caro malato di Alzheimer e abbiamo accennato alla sindrome di Burden. Ma di cosa si tratta?
Con questo termine si intende il logoramento psicologico, dovuto al costante sostegno di un carico molto pesante (burden, in inglese, significa infatti carico). A differenza del burn out che è termine usato in ambito lavorativo e parlando di Alzheimer fa riferimento agli operatori, la sindrome di Burden deriva da un carico totalizzante e continuativo. Chi si prende cura di un familiare affetto da Alzheimer lo sa, il coinvolgimento nella malattia è fisico e psicologico e soprattutto no-stop.
Come se non bastasse tutto il carico derivante dal grande impegno, si somma nei caregiver il senso di colpa nell’abbandonare anche se per pochissimo tempo il proprio ruolo. Prendersi una pausa – cosa invece non solo utile, ma necessaria – viene percepito come un atto di negligenza e di indifferenza, con il rischio di alienarsi sempre di più dalla realtà e di vivere solo in funzione del malato, non senza pericoli.
Alzheimer e sindrome di Burden: quali sono i sintomi?
Di sindrome di Burden non si parla quasi mai e per questo spesso i suoi sintomi non vengono riconosciuti o vengono sottovalutati e “declassati” a normali e fisiologici stanchezza e stress. Ma ovviamente non è così. In generale se ci accorgiamo di essere molto stanchi, di non dormire o dormire meno ore rispetto al nostro solito, dovremmo farci caso. La sindrome di Burden, ovvero il logoramento psicologico del caregiver, porta anche a un abbassamento delle difese immunitarie: se ci ammaliamo o riscontriamo frequenti e insoliti problemi di salute dovremmo sicuramente rivolgerci a un dottore. Ricordiamoci che il nostro corpo è la nostra sentinella: ci avverte sempre se c’è qualcosa che non va.
Come caregiver potremmo fare fatica a riconoscere i sintomi perché vorrebbe dire spostare l’attenzione dal malato verso se stessi e questo potrebbe sembrare egoista. Non lo è: che i caregiver siamo noi o lo siano nostri parenti, se ci accorgiamo di anche uno solo di questi sintomi appena descritti dovremmo fare una riflessione. Se notiamo qualcosa di “strano” nelle persone a noi care e che si prendono cura di un malato, dovremo essere sufficientemente bravi a convincerle a fare dei controlli e a prendersi cura anche della propria salute. Proprio per garantire la migliore assistenza possibile: come viene insegnato sugli aerei prima ci si tutela e poi si aiutano gli altri. Impossibile fornire aiuto se non si sta bene.
Sindrome di Burden: come si previene?
Abbiamo detto che è importante non ignorare i sintomi, ma non bisogna nemmeno allarmarsi o andare nel panico. In fase iniziale, la sindrome di Burden si può arginare, evitando che progredisca rapidamente.
Ma perché non si arrivi nemmeno alla fase iniziale, bastano piccole, ma fondamentali attenzioni. Innanzitutto è importante mantenere una propria socialità, coltivare relazioni umane, per non ritrovarsi sempre e solo con la persona malata di Alzheimer.
Poi è bene informarsi e chiedere aiuto: esistono gruppi di confronto e spesso nelle Rsa vengono organizzati incontri di sensibilizzazione e aiuto. Se ci accorgiamo che i sintomi peggiorano, è sicuramente bene cercare un supporto psicologico: il terapista saprà aiutarci (o aiutare la persona affetta da sindrome di Burden) indicandoci come modificare il nostro impegno di caregiver, aiutandoci ad abbandonare il senso di colpa e incoraggiandoci a ritrovare un nostro equilibrio.
Ricordiamoci che, sempre, la cosa migliore che possiamo fare è rivolgerci al nostro medico o a uno specialista.