
Due casi di Alzheimer su tre hanno come paziente una persona di sesso femminile. Ma come mai? Ci sono diverse ragioni, ma soprattutto bisogna concentrarsi su quello che si può fare per scongiurare la comparsa, ossia fare prevenzione
Ogni tre secondi nel mondo viene diagnosticata una forma di demenza e in due casi su tre si tratta di donne.
Alzheimer e donne: perché sono più colpite?
La scienza e i dati lo confermano. Le donne hanno maggiore probabilità di ammalarsi di Alzheimer. Ma perché? All’origine pare esserci una questione di enzimi.
C’è poi un’associazione tra malattia ed estrogeni (gli ormoni femminili). La riduzione del livello degli estrogeni associata alla menopausa è un fattore di rischio, ma uno studio ha evidenziato che questi stessi ormoni da sempre potrebbero favorirne l’insorgenza. Gli estrogeni tendono infatti a sfavorire nelle donne l’utilizzo dell’ippocampo, deputato alla formazione della memoria a lungo termine e all’orientamento spaziale. Il suo minore utilizzo potrebbe essere alla base di una sua maggiore vulnerabilità agli effetti dell’invecchiamento, tra i quali la riduzione di volume e la formazione di placche.
Il calo degli estrogeni, poi determina maggiore vulnerabilità nelle donne perché questi ormoni svolgono una funzione protettiva contro la morte cellulare e l’infiammazione che favorisce la formazione di placche di Beta amiloide, il cui accumulo è tra le cause della patologia.
Donne e Alzheimer: come si fa prevenzione?
Per aiutare l’ippocampo a “restare in forma” è fondamentale svolgere esercizio fisico e allenamento cognitivo. Secondo la scienza uno delle attività più utili sarebbe proprio l’orienteering, sport ancora poco noto in Italia, che consiste nell’effettuare un percorso a tappe in un ambiente naturale, generalmente un bosco, con il solo aiuto di una bussola e di una cartina geografica dettagliata in scala.
La buona notizia è che le differenze di genere nell’utilizzo delle diverse strategie cognitive possono essere influenzate da fattori ambientali legati all’educazione e che non tutte le donne hanno un profilo di non ippocampo user.
La ricerca si concentra sugli enzimi
Come si diceva all’inizio, la ricerca si sta ora concentrando sulla maggiore espressione nel tessuto del cervello femminile, rispetto ai maschi, di un enzima legato al Cromosoma X chiamato peptidasi 11 specifica dell’ubiquitina (USP11), con conseguente maggiore accumulo della proteina tau, la responsabile delle placche che si formano e accumulano in chi è affetto da Alzheimer.
L’ubiquitina è una piccola proteina regolatoria il cui compito è quello di trasportare le proteine danneggiate dove vengono poi distrutte. Nell’Alzheimer questo sistema sembra non funzionare a dovere. Gli aggregati di tau e ubiquitina si accumulano nei neuroni e ostruiscono il complesso.
La buona notizia, dicono i ricercatori, è che l’USP11 è un enzima, e gli enzimi possono essere tradizionalmente inibiti farmacologicamente. La speranza dunque è quella sviluppare un medicinale in grado di proteggere le donne dal rischio più elevato di ammalarsi di Alzheimer.